Aieta

Sorta in una zona abitata fin da tempi antichi da greci e da bruzi, come testimoniano i reperti archeologici del V secolo a.C. rinvenuti nei dintorni, in passato si Il nome del comune, "Ajeta", deriva dal greco "aetos" (aquila), una volta presente nel territorio dell'antico centro abitato situato sul monte Calimaro (dal greco "kalos" = bello ed "emeron" = giorno). Il territorio di Ajeta fu abitato fin dalla preistoria, come provano alcuni ritrovamenti del paleolitico e del neolitico.

Altre informazioni

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Storia

Nel periodo della colonizzazione greca (VIII - VI sec. a.C.) erano abitate la contrada "Zaparia" e la zona ancora oggi chiamata "Ajeta Vetera", sul monte Calimaro. In epoca romana, gli abitanti di Ajeta Vetera, dediti all'agricoltura e alla pastorizia, facevano della cittadina lucana di Blanda Julia, ubicata sul colle del Palestro (Palècastro) tra Praja e Tortora, il loro centro commerciale.
Verso la metà dell'VIII sec. diversi monaci si trasferirono dai paesi del Mediterraneo orientale in Calabria, fermandosi anche nella zona di Ajeta dove fondarono piccoli monasteri (cenobi) di rito greco, detti anche "basiliani".
La presenza di questi monasteri è testimoniata dai nomi di alcune contrade di Ajeta (Sant'Elia, San Marco, San Giovanni). Tra il IX e il X sec., a causa delle scorrerie di pirati saraceni o per calamità naturali, gli abitanti di Blanda furono costretti
a rifugiarsi verso l'interno, dando origine a Tortora e ai rioni Julitta, San Basile e Cantogrande dell'attuale Ajeta.
Nel monastero di Ajeta era conservata una lapide che ricordava il vescovo Giuliano di Blanda (III - IV sec. d.C.).
Nello stesso periodo gli abitanti di Ajeta Vetera dovettero abbandonare il monte Calimaro, a causa di avversità naturali, spostandosi nell'attuale centro abitato.
Dall'epoca della dominazione normanna (XI sec.) fino agli inizi del 1800 la storia di Ajeta è ricca di passaggi di feudatari: Scullando, De Montibus, Loria, Martirano, Cosentino e Spinelli che abitarono nel Palazzo costruito nel XIII sec. e ampliato nel XVI.
Nel 1563, gli aietani, guidati da Silvio Curatolo, cercarono di riscattarsi dalle servitù baronali, ma il tentativo fallì.
egli anni '50 riprese, inarrestabile, l'emigrazione: non solo verso l'America e l'Europa ma anche verso le regioni italiane del centro, del nord e verso la vicina Praja a Mare, una volta Marina di Ajeta (Praia di Aieta) che ancora oggi molti aietani continuano a chiamare la "Marina"...

Arte e Cultura

La chiesa madre
Chiesa S. Maria della Visitazione
Costruita dove già esisteva una piccola chiesa di epoca normanna, denominata S. Maria de Fora (cioè fuori dal centro abitato, allora rappresentato dai rioni Cantogrande e Julitta) divenne unica chiesa parrocchiale l'8 novembre 1530. Si presenta a croce latina, con navata centrale e due laterali in cui sono collocate, per ogni lato, tre cappelle con altari. La navata centrale. Nel 1576 fu collocato nell'abside il grande quadro ad olio su tavola (3 x 2,20 m.) raffigurante la Visitazione, opera dell'artista napoletano Fabrizio Santafede. Conosciuto in particolare in Campania e nel Meridione in generale, è stato anche apprezzato in Spagna, dove si possono ammirare alcune delle sue opere. I suoi numerosi dipinti a carattere religioso, arricchiti da scene di vita giornaliera, mostrano i tratti tipici del periodo della Controriforma. La sua arte segna il passaggio dal Manierismo al Naturalismo del primo Barocco. Organo Bossi. Prezioso strumento di scuola napoletana, costruito dall'organaro Bossi e consegnato alla chiesa il 19 agosto 1673. Un primo restauro, eseguito nel 1907, aggiunse una fisarmonica e la tastiera di avorio ed ebano, entrambe di gusto ottocentesco. Nel corso degli anni, l'incuria e il disinteresse avevano reso inutilizzabile lo strumento, finché nel giugno 1995 si è provveduto ad un sostanzioso restauro che ha salvato la maggior parte dei materiali antichi, restituendo all'organo quella voce e quei colori che il tempo aveva offuscato. ....

Cosa vedere

Il palazzo del XVI secolo
Interessante edificio del '500 calabrese
Il Palazzo Spinelli sorge nell'antico centro abitato di Aieta e domina, con la sua imponenza, le sottostanti costruzioni.
Fu fatto costruire nel XVI sec. dai Marchesi Cosentino, signori di Aieta dal 1577. Il palazzo passò nel 1571 ai Cosentino e fu venduto agli Spinelli di Scalea nel 1767. Nel 1913 fu dichiarato monumento nazionale, per poi diventare di proprietà del Comune di Aieta nel 1980.

Al centro della facciata il loggiato con colonne ed archi in pietra locale grigia scolpita circondato da balconi e finestre con stipiti e cornici realizzati con la medesima pietra.
La facciata illuminata con il portale d'ingresso al Palazzo. L'edificio si articola in tre piani: il seminterrato, con strutture di notevole spessore (i muri perimetrali esterni misurano ben 1,75 m. e quelli di partimento 0,55 m.), il pianterreno ed il primo piano, alti rispettivamente 6 e 5 m. L'insieme, di notevole interesse storico-architettonico per la grandiosità dell'impianto e l'imponenza delle linee architettoniche, rappresenta uno dei pochi esempi di edifici civili del '500 in Calabria.
L'edificio presenta una pianta ad "U". Al pianterreno vi era il corpo di guardia, le sale di vigilanza e di attesa, la Cappella, l'ufficio del marchese, la sala di ricevimento, le sale di soggiorno, di musica e di gioco, le cucine, le dispense e la sala delle armi. I sotterranei ospitavano le prigioni, le cantine, le cisterne dell'acqua ed erano illuminati da nove finestre munite di massicce inferriate e vi si accedeva dall'interno con le scale. Il primo piano ospitava tutte le camere da letto.
Le torri di servizio e di sorveglianza erano due, ad Est: la prima era attrezzata per la difesa; la seconda, che aveva forma quadrangolare, ospitava le cucine e vari servizi. Vi era inoltre la colombaia, rivolta a Nord - Est, dove si allevavano i piccioni viaggiatori, utili per le comunicazioni.

La valle dei Mulini
Il recupero e la valorizzazione degli opifici idraulici, localizzati in un’area di estremo interesse dal punto di vista storico-archeologico ed ambientale, si colloca nell’attuale tendenza al recupero della cultura materiale. La via dei mulini rappresenta un legame storico con il fiume, i campi ed il paese. Per secoli i mulini ad acqua hanno rappresentato uno strumento indispensabile per l’alimentazione di una popolazione urbana e rurale, vitali per un’economia agricola sono sopravvissuti fino a che non sono stati sostituiti da mulini più moderni ed alimentati ad energia elettrica.
La tecnologia.
L’acqua viene raccolta nelle condutture collocate ad un livello superiore agli edifici, la caduta al livello inferiore e la creazione di un potente getto d’acqua alimentano le ruote orizzontali. Il mulino calabrese è prevalentemente del tipo a ruota orizzontale. La ruota lignea (ritrecine) ad asse verticale o a cucchiai viene alimentata da una piccola doccia in legno. Un’imboccatura più o meno stretta a seconda delle stagioni e del regime delle acque, provvede a dirigere con forza il getto d’acqua sui cucchiai costringendo l’albero alla rotazione. La doccia è a sua volta alimentata dall’alto da un bacino di raccolta dell’acqua, sovente dissimulato da una torretta sormontata talora da una croce. La ruota lignea è composta da una serie di pale montate sullo stesso asse della ruota, intagliate in modo da offrire al flusso d’acqua una superficie concava e leggermente obliqua e sfruttare al massimo la potenza del gettito. Il moto si trasmette tramite l’asse della ruota che è direttamente collegata alle due mole (soprana e sottana), l’una rotante e l’altra fissa che dimorano nella stanza superiore. Le mole, che hanno nella maggior parte dei casi esaminati, un diametro inferiore a mt. 1,50 sono talvolta di pietra locale, talvolta sono state sostituite agli inizi del secolo dalle francesi “la fertè”, apprezzate per una minore friabilità. Le mole, di cui quella fissa è contenuta in una struttura in muratura, sono sormontate da una tramoggia di caricamento del cereale, il cui flusso viene regolato tramite una cordicella”. (da “Mulini ad acqua in Calabria” di Antonio e Francesco Arena, 1983) I Mulini abbandonati costituiscono manufatti/elementi di archeologia industriale che hanno segnato il territorio.

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